sabato 24 maggio 2014

Miele e assenzio



Come l’orizzonte
che tale rimane lungo il cammino
l’Amore inseguo
bevendo attimi di miele e assenzio

Boccate di nulla
che s’intersecano a riflessi d’infinito
percorso scosceso
tra pioppi che s’avvicinano
e mi ritrovo alle spalle
per raggiungere l’orizzonte che non vedo

E mani che dal peso spiombano
e l‘attimo dopo veleggiano
piene di fumo e coriandoli
senza più senso

tiziana mignosa
agosto duemilaundici



Lucchetti a doppia chiave


Per legare un cuore
non servono lucchetti a doppia chiave
i rapporti si cementano con le parole
e non con le catene
o sbattendo in faccia
regole e doveri stabiliti
da chi ha bisogno di vivere
dentro spessi argini dai profili di cemento

Menta e libertà
lastricano di fiducia e leggerezza
la strada a mille sbocchi
ma che alla fine conduce solo
dove le parole le porte aprono
e non le sbattono
ergendo barriere senza senso
sulle posizioni

tiziana mignosa


martedì 20 maggio 2014

Notte di note e poesia




Luci basse
di tentazione incendiano
vialetti e desideri tra le ombre della sera
tacchi sottili e svolazzi di seta ballerina

Sotto l’Amore delle stelle
tra sorrisi languidi e sguardi rubati
s’intrecciano preziose filigrane di pensieri
canti su note e poesia suadente

Respiro jazz
nell’invisibile abbraccio tra me e la luna
trame di luci e vento
in questo blu che odora di salsedine

tiziana  mignosa
luglio duemiladodici



Scritta per sfumature in jazz 1° edizione 29 luglio 2012

I morti vanno seppelliti



E’ nuovamente bosco
energia che si disperde
prima di trovare la radura priva d’ombre

Luce e buio che s’alternano
una volta è cielo
e l’altra è terra

I morti vanno seppelliti
tenerli nella stanza
non fa bene

Là dove la spontaneità
il passo difettoso prende
la volontà i passi guida

ed è così
che dalla goccia
il fiore della gioia sboccia

tiziana mignosa
febbraio duemilaquattordici

Onde scarlatte


Ed è subito brivido
e sorriso intimo
generoso omaggio di un’estate ruffiana
figlio di un sussulto
sottratto all’ombra della vita

Onde scarlatte e seducenti
creano ali di velluto e d’infinito
ladre del sapere delle mani
travasano alambicchi di fuoco sopra il fuoco

Preziose filigrane di desideri inconfessati
che la pelle accendono
sugli intrecci d’invisibili tremori
sparsi come caldi baci
sul candore delle spalle in fiore

tiziana mignosa
giugno duemiladodici


venerdì 16 maggio 2014

Lungo il giorno che si fa notte


Come il sole che i sensi incanta
anche quando cambia postazione
così accade al gusto nell’istante in cui
 la sua dimora sposta

Piedi scalzi
che linfa assorbono
nutrimento che dal fremito della madre terra
e la sua erba
giunge e colma

Letizia che gorgheggia
in note aperte e orizzontali
gusto che lentamente prende spazio
colmando ogni miseria col diletto

o quando a sorsate intense bevo
attraverso il tacco che alla sera indosso
ebbrezza e languida seduzione
ticchettio tra sguardi e luna
lungo la magia che mi vede a notte

Sortilegio verticale
che sfugge e ammalia senza respiro
e a occhi semichiusi si lascia conquistare
dissetandomi di liquido piacere


tiziana mignosa
ottobre duemiladodici


Mondi differenti


Ombre tremule
dove il sole del mattino
non si è arreso
oscillano sull’arsura della terra

Pulviscolo
sopra pietre sparse
e aghi di pino
raccontano di passi sovrapposti a passi

Soffi d’estate e vita
sulle forme che la materia esegue
e raggi trasversali scendono
infuocando l’orizzonte sull’incanto

e la cicala canta
mondi differenti
dentro lo stesso mondo
dove la vita interpreta la trama


tiziana mignosa
settembre duemilaundici

Note: queste sensazioni nascono in un pomeriggio di coda dell’estate quando ho portato i ragazzi del cd a fare disegno dal vero e li ho invitati a tirare fuori da se stessi le emozioni legate a quello che vedevano e sentivano nell’onda che va da dentro a fuori e da fuori a dentro


Lo specchio capovolto


Col fremito sui polpastrelli
non serve la torta sulle labbra
per capire che m’ha rubato il gusto

Non occorrono grandi cose
ma solo quelle giuste
a volte basta solo un gesto per accendere di vita
un’ orchestra intera d’arpe e flauti
che aspettava il via dalla cantina

Sono dolci chimere
i desideri che sfuggono dalle dita
come la salsedine in montagna
mentre il languore sbava
e incrocia solo sassi e neve

Ogni tanto il miracolo si desta
col sorriso che gratifica l’attesa
nell’intreccio dell’azzurro
col suo specchio capovolto


tiziana mignosa
luglio duemilaundici

Maestro e attore


Quando il sole
d’acqua e neve gocciola
non senti più il frinire delle cicale
e l’estate si fa presto inverno
e il giorno notte
senza nemmeno stelle

Ma è solo il tormento che nasconde
quel poco che rimane lungo il viale
quando ti benda evidenziando il vuoto
e soffri come se non fosse
anche lui maestro e attore

Così come passa l’attimo di gioia
sulla terra passa anche lo sconforto
ma a poco serve la verità
che ti gira e ti rigira in testa
quando ti trovi immerso fino al collo
dentro l’odiato fosso

tiziana mignosa
agosto duemilaundici


L'ispirazione


L’ispirazione
è come il rubinetto dell’acqua dorata
quando ruscello
diventa fiume e mare

Impari presto a riconoscerla e a dosarla
e poi decidi tu
nel tempo in cui e in che misura
farla arrivare

tiziana mignosa
ottobre duemilaundici


Per chi desidera ascoltarla:

Nella segreta che all'idea mi incolla


Come l’arsura
che linfa alla vita invoca
dalla mente
la folla delle forme emigra
sull’oggi che m’attende

Eppure
il cucchiaino non si fa mestolo
e nemmeno bicchiere
vetrina senza piacere
che giustizia non riesce a rendere
all’assenza che nelle mani alloggia

Contagocce
che la voglia gonfia
mentre l’occhio affossa
nella segreta che all’idea mi incolla
del piatto che trabocca

tiziana mignosa
maggio duemilaundici

martedì 13 maggio 2014

Pometina



Racconto in rima a due voci

Scritto per l’associazione Tyrrhenum in occasione della festa medievale nel giugno duemilaundici


Dal codice Urbinate Vaticano 1056

Nel dì dell’11 di maggio
nell’anno del Signore 1588
riporta
il codice Urbinate Vaticano
dell’ infelice avvenimento
di uomini crudeli
e delle loro insane gesta.

Sto per raccontarvi
infatti
di  Assan Agà  
pirata sanguinario
il capo dei suddetti ceffi
che per mantenere
di terrore il clima alto
con numero sette
di galee algerine
assalì
sulla romana costa
il territorio di Civitas Patrica.

Pirati
e pure brutti e infami
che miravano a reprimere
i giovani entusiasmi popolari
di chi d’allegrezza esultava
per ciò che sotto sotto
da un po’ di tempo
da quelle parti
si  vociferava.

Imminente
a quanto pare era
la costruzione della flotta pontificia
ma mala fu la loro fede
che approfittando del contesto
agirono ancor prima che il Lercari
luogotenente generale della squadra
fosse pronto per salpare.

La storia narra infatti
che nella notte tra l’8 e il 9 maggio
nell’anno del Signore 1588
Assan
 il sanguinario
insieme a 200 pirati algerini
approdò sulla costa della Roma ignara
che senza tutela alcuna
nell’oscurità
serena
riposava.

Per compiere così
il vile misfatto
chi di professione
faceva scempio e prepotenza
di soppiatto
violentò il cuore caldo
della terra ferma.

Coperti dalla notte
nel borgo addormentato
giunsero i vili malfattori
e grande fu il dolore e lo sgomento
per quei pochi levatisi in piè
per contrastare
il nero delle gesta
dei suddetti ceffi.

E mentre i paladini
perfino nella chiesa
morivano trucidati
ignobili furono le brutture
che si contarono
per mano dei pirati.

Senza pietà alcuna
più o meno centocinque
tra maschi e femmine catturarono
rubando gioia e vita
al borgo deturpato.
Trentanove gli uomini
e ventinove donne
ma anche trentacinque
tra i lavoratori stagionali
furono coloro i quali
mai più fecero ritorno.

Tacendo con tenacia
sull’infame sorte
che invece li attendeva
imbastirono i pirati
ulteriori inganni
ai sudditi del Borghese
il principe
adesso sventurati.

E  come se fosse
tutto quanto vero
“Su, lungo il Tevere…”
gridavano mentendo
“alle vigne della grande Roma”
magnifico il luogo
dove “dicevano”
li  avrebbero portati
come se fossero
amici del Giulio
er Sommo Pontefice
e non invece
i miseri qual’erano!

E fu così
dopo l’atroce lutto
che fu anticipata l’ultimazione
del sistema difensivo lungo le coste.

Torri
che sulla azzurra riva
s’alzarono di gran fretta
come quella del Vajanico
che da quel dì
il nome diede
alla terra che
di pianto sabbia e vento
tutt’intorno si estendeva.
         
*********

Ma dopo questa novella
di morte
e atroce sofferenza
desidero per lor signori
narrare quella a lieto fine
della dolce giovinetta
che quel dì
del triste maggio
dal bosco fu salvata.

Lei che con la natura
ci andava assai d’accordo
meglio sicuramente
di qualsiasi altra creatura
aveva instaurato
nel corso dei suoi anni
un magico legame
che molti non comprendevano
ma che le fu fatale.

Sorridendo canticchiava
quando dal suo amato bosco
alla  dimora ritornava
il buio intanto intorno
nel giorno s’infiltrava
mentre gli abbondanti frutti
dalla veste a mo’ di conca
correndo pensierosa
sulla strada seminava.

Aveva fatto tardi
e l’ora era ormai giunta
di andare a riposare
prima che il giorno ritornasse
coi suoi gravosi affanni.

Posò la frutta ai cesti
e lesta andò a dormire
ma quando il sonno
si fece dolce sogno
fu subito svegliata
da grida spaventose
e pianti soffocati.

E intanto  il cuore suo
di botto le pareva
di perdere dal petto
impazzito martellava
e non voleva smettere.

Con gli occhi attraversati
da lampi di terrore
 il vecchio genitore
irrompeva nella stanza
spingendola di fuori
sul carro nella stalla.

La sera
che solo poco prima
splendida faceva culla
a stelle e a grilli canterini
si tramutò in inferno
mentre urla e lampi interpretavano
il canto disumano
della signora nera.

E il tempo
s’arrestò così sulla paura
e intanto tutt’ intorno
la vita lottava con la morte
materializzando leggende paurose
che gli anziani narravano di notte.

Pianti disperati
che le spaccavano la mente
come le voci stridule
che  urlavano l’oscura lingua
che d’improvviso le fu
pericolosamente accanto.

Impietrita la donzella
sentì muovere il carretto
ma non osò guardare
limitandosi a nascondersi
tra stracci polverosi e il fieno
che intorno a sé trovava.

Ma quando il forestiero
s’ arrestò improvvisamente
ardita la fanciulla
in cerca di un rifugio
in un lampo saltò giù.

Fortuna volle che
il bosco fosse proprio accanto
complice e amico vero
le diede il suo sostegno.

E mentre lei correva
più veloce di una lepre
sentiva alle sue spalle
incomprensibili parole
che parevano acchiapparla.

Infatti poco dopo
i bruti la raggiunsero
ma lei riuscì a scappare
e nonostante i due
 coi rinforzi raddoppiarono                                                                                                
il bosco la coprì
e nessuno più la vide.

In quel silenzio insano
esausta precipitò
nel sonno che allontana
ma quando si svegliò
piangendo disperata
pensò alla sua famiglia
e mentre rifletteva
su cosa era meglio fare
intanto camminava
e al borgo ritornava.

Non un solo gemito
arrivava dalle mura
che mai come in quel momento
facevano così tanta paura

ma quando varcò l’arco
che al borgo conduceva
la vista s’offuscò di gocce
sulle spoglie martoriate
che giacevano a casaccio
lungo la rossa polvere
ai margini delle strade.

D’un tratto la sua voce
sentì che urlava la sua pena
mentre correndo disperata
cercava i suoi amati

ma non trovò nessuno
nemmeno i loro corpi
e ritornò nel bosco
col cuore nelle mani.

Quando durò il tempo
del suo vivere selvaggio
nessuno mai lo seppe
ma di certo fino a quando
il bello e forte principe 
dell’ Ardea lì vicina
durante una battuta
si spinse su una preda.

Infatti a quanto pare
un rovo o un ramo secco
davanti al suo destriero
gli fece perdere il cinghiale
e mentre i suoi amici
lo burlavano ridendo
il principe incrociò
la donzella spaurita.

Un po’ perché d’indole gentile
un po’ perché la trovava bella
fatto sta che il giovane
le porse la sua mano

ma lei con un balzo a terra
si diede alla gran fuga
e siccome il bosco
era amico per davvero
i cespugli grandi mise
per rallentar la corsa
 avvicinando in tale modo
il nobile straniero.

Quando in quegli occhi belli
lesse la paura che albergava
non perse tempo il principe
a mostrare il vuoto delle mani

ma lei non gli diede credito
e guardandosi intorno
acchiappò un frutto grosso
e glielo tirò addosso.

La mira non era scelta
e lui afferrò il pomo
e mentre rideva divertito
gli diede pure un morso.

Interdetta la fanciulla
non sapeva più cosa pensare
forse non era l’uomo nero
che aveva temuto d’incontrare

e intanto intorno a sé
l’aria si colmava
di una dolce melodia
che dopo tanto tempo
a lei si rivolgeva:

“Buon giorno dolce donzella
sono il principe del paese qua vicino
posso avere l’onore
di venire a conoscenza
del vostro meraviglioso nome?”

Confusa la giovanetta
non sapeva cosa dire
troppo era stato il tempo
che aveva dialogato solamente
con la natura madre

“Non lo so…”
rispose un po’ smarrita
mentre più di un fil di voce
dalla sua vermiglia bocca
proprio non usciva.

Ma adesso era il principe
ad essere perplesso
e associando i fatti
al desiderio del suo cuore
decise in quel momento
di chiamarla Pometina

e non ci volle molto
tra sorrisi e angeliche parole
a convincere la donzella
a seguirlo nel suo regno.

E non fu nemmeno strano
che di lì a qualche giorno
il rampollo s’innamorò perdutamente
della gentile creatura
che era forte e bella
di sicuro come nessuna.

E fu così  che Pometina
che sempre era stata buona
e gentile in ogni circostanza
da regina del bosco quale era
diventò regina per davvero.

E tante furono le stagioni
che videro il suo amabile sorriso
fin quando ormai anziana e stanca
chiese al principe consorte
di andare per sempre a riposare
tra il verde del suo bosco.

Narra la storia infatti
che sulla terra che la coprì
di lì a qualche tempo
spuntò un tenero germoglio
che presto si fece albero
di dolci e succosi frutti
capaci di sfamare
chi gli passava sotto.

E tanti furono i viandanti
amanti della natura
che da quel dì
sotto alla sua ombra
trovarono nutrimento
Amore
e tanta
tanta frescura.            


tiziana mignosa    
giugno duemilaundici

lunedì 5 maggio 2014

Sul tetto inconsapevole


Tu non puoi sapere che ieri ho respirato
la stessa aria che carezza il tuo giardino
e intanto raccoglievo fili di pensieri confusi e sparsi
e come polvere d’Amore che la sua colla insegue
ne ho fatto bisbigli a treccia di sorrisi
sulla quale mi sono lasciata scivolare
dall’impalpabilità del desiderio
sul tetto inconsapevole
della tua casa

tiziana mignosa

Pensiero creativo


La consapevolezza è come il cerchio
che vive dentro al successivo
man mano che sei pronto
la porta apre al sogno
che prima ti sembrava muro

Ed è così che si dissolve
la stupida credenza di pensare
che verità e vita
siano chiuse dentro
il misero perimetro in cui batti le ali

Quando dal guscio ti proietti fuori
comprendi che il pensiero creativo
non è stupida finzione
e il meraviglioso campo scopri
che abbraccia il tuo piccolo giardino

tiziana mignosa
ottobre duemilaundici




domenica 4 maggio 2014

Tasselli senza memoria


Seppur l’arazzo
anche loro formano
alcuni incontri
non conoscono scalpello
tasselli sì
ma senza memoria

Come ogni passo
grazia che alla meta porta
trasformano l’attimo della puntata  
in polvere che luccica ma subito si disperde
come accade al vento
quando passa senza lasciare traccia

Non concedono di sé che poche cose
incontri senza nessuna scia
eppure anche loro sono l’acqua e il pane
che la forma danno
all’essenza che crescendo
si fa sempre più bella

tiziana mignosa
luglio duemilaundici




Pensiero


Ogni frammento
contiene l’universo intero
e ciò che si sofferma
nella sfera dell’attenzione
tende a esibire
ciò che stai chiamando con il credo


tiziana mignosa
maggio duemilaundici


Tra il mio pensiero e te


Quando il pensiero
si fa onda che carezza
oltre il varco della folla
lentamente
l’arsura cresce e ti va a cercare

Col desiderio tra i capelli e i sogni
a piedi scalzi
la terra
intensamente vivo

Calde radici
succhiano
sorsi di bellezza
linfa conosciuta
di saggezza antica
               
Tra il mio pensiero e te
arabeschi di fiabe
accorciano le distanze
quando ad occhi chiusi
il tuo respiro
mi disegna l’infinito sulle spalle

E la smania cresce
senza fretta
mentre l’Amore faccio
con tutto ciò che guardo
e con le dita sfioro

Nel gioco che si replica
ancora tu
protagonista amato
“ti voglio”
e con le mani il mondo intero afferro
ti sto pensando


tiziana mignosa

Malinconie d'autunno


A volte plano
su nubi di malinconie sottili
quando il passo che mi giunge
tradendo ogni velata aspettativa
regolarmente da verde si fa nero
e si fonde al volo ad ali basse
della nebbia disillusa

Ventaglio
che per bere pienamente
al calice intero dell’Amore
ha gettato a mare il dolce imbuto
rinuncia pericolosamente in bilico
tra ciò che brama
e ciò che deve fare

tiziana mignosa
ottobre duemiladodici

Per chi desidera ascoltarla: 

http://www.dailymotion.com/video/x14f88j_tiziana-mignosa-malinconie-d-autunno_creation

Lucy lo sa bene e anche per questo è morta


Chi anche solo le labbra ha poggiato
sul calice prezioso dell’Amore
sa bene cosa accade
quando il battito l’incanto sovrappone

Gli innamorati
la loro danza cantano
oltre il cancello del tempo e dello spazio
Lucy lo sa bene e anche per questo è morta

Eclissi che solo raramente si concede
ma quando l’allineamento è ben sincronizzato
nel poco il tutto dona
ma poi si perde

E il dopo si fa inutile confronto
disperate gocce
che la maturità del seme fino allo sboccio nutrono
dannazione che si trasforma in caldo sole

come il tuffo
che dopo l’intensità del tonfo
in quel preciso punto la sua morte sigla
per poi mostrarsi altrove

tiziana mignosa